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Il Re dei Gatti e il Tramonto degli Oracoli /1




Questo mio nuovo post era impaludato da dicembre tra le bozze, in attesa di essere rielaborato e portato a termine. E pensare che l'unica volta in cui mi sono azzardato a fare delle previsioni sulle uscite del blog, lo scorso gennaio, lo avevo previsto per la fine di quel mese.  Il punto è che proprio come gli scaffali della mia libreria traboccano di libri che chiedono di essere letti: "Ora tocca a me!" dice uno; "No, son stato comprato prima io!" esclama un altro; "Io aspetto da mesi!"; "E io? Da anni!" e così via... allo stesso modo, dicevo, la mia mente pullula di post virtuali che attendono di essere immessi nella blogosfera. Così, a forza di dare la precedenza ad altri articoli, questo sul Re dei gatti è rimasto, fino a oggi, in attesa nel limbo.

Ma veniamo al dunque. Forse non tutti lo sapete, ma esiste un'ipotesi abbastanza diffusa secondo cui le fiabe della tradizione popolare sono da considerarsi in molti casi (ma potrebbe perfino essere: in tutti i casi) come traduzioni in immagini più immediate e familiari di veri e propri racconti mitici che avevano come protagonisti in origine dei e dee, eroi ed eroine. Il Mulino di Amleto, un voluminoso libro che ho letto per intero due volte e a spizzichi e bocconi altre innumerevoli, parte proprio da tale presupposto:
E' così che il "corpo" della tradizione sopravvive alla morte dell' "anima", infranto, svuotato delle idee che conteneva, conservato come una mosca nell'ambra. Presso il volgo analfabeta, gli dei greci sono diventati gatti e servette: passano le Potenze, ma le informazioni restano.
Da questa citazione si può trarre l'impressione, forse corretta, che l'atteggiamento dei due autori, il fisico Giorgio de Santillana e l'etnologa Hertha von Dechend, sia piuttosto snobistico. Le fiabe non hanno di per sé, dal loro punto di vista, nessuna ragione di vita autonoma, ma il loro valore è dato unicamente dalla capacità che hanno di conservare, in forma come fossilizzata, una serie di informazioni che sta a noi ricondurre alla loro vera origine. Non si tratta, in pratica, solo di riportare in vita le "mosche nell'ambra" e farle nuovamente volare. Il compito è anche quello di riportarle alla loro dimensione di miti, con la conseguenza implicita che in questo caso non ci troveremmo più al cospetto di mosche ma piuttosto di farfalle, se non addirittura di angeli.
Il mulino di Amleto è in realtà un libro complesso, di impervia lettura, che nelle sue circa cinquecento pagine fitte di dati pone forse più interrogativi di quanti alla fine ne risolva. Del resto i due autori si propongono di andare oltre il già arduo compito a cui abbiamo accennato, impegnandosi in una ulteriore opera di traslazione di piani che consiste, in questo caso, nel ricondurre il mito stesso a quella che è, sempre secondo il loro punto di vista, la sua originale dimensione astronomica. Il secondo presupposto su cui si fonda Il Mulino di Amleto stabilisce infatti che tutti i miti senza eccezioni riguardino in qualche modo la sfera celeste e raccontino, al di là dell'apparenza di cui sono rivestiti, avvenimenti che sono accaduti e accadono tra le costellazioni.

Questa prospettiva presenta, a mio avviso, un fattore di successo e uno di rischio. Il successo, indubbio, consiste nel liberare il mito da certi tipi di visioni riduttive, dure a morire, come quelle che vedono nei racconti mitici semplici metafore dei cicli naturali o metamorfosi di eventi in origine puramente storici. Il rischio di cui parlo è invece quello di passare da un tipo di riduzionismo a un altro, cioè che anche la prospettiva astronomica si riveli a sua volta una forma, solo più raffinata, di riduzionismo della prospettiva mitica.
Ma comunque stiano le cose, non mi propongo certo di risolvere in uno spazio così limitato una questione di tale complessità. Il presente articolo è dedicato invece a una fiaba specifica, la fiaba del Re dei gatti, e al modo affascinante in cui Santillana e von Dechend la riconducono a qualcosa che a prima vista sembra occuparsi di tutt'altro. Questo articolo potrà quindi tornare utile come esempio del metodo operativo dei due scienziati.
Ma poiché è anche necessario procedere con ordine, presento qui prima di tutto la fiaba in questione, in una mia traduzione inedita che ho realizzato basandomi su una versione americana della storia raccolta da S.E.Schlosser. Solo in seguito, nel prossimo post della serie, metterò in campo gli altri elementi necessari e comincerò a fare i dovuti collegamenti e trarre le prime conclusioni.


* * *

Il messaggio del gatto nero



Una sera dopo il lavoro, tornai a casa tardi e trovai mia moglie Ethel che sbrigava le faccende in cucina con un grande gatto giallo tra i piedi.
"E questo chi è?" le chiesi gioviale.
"Questa è la nostra nuova gatta", rispose Ethel, salutandomi con un abbraccio e un bacio. "E’ comparsa all’improvviso alla porta della cucina e voleva entrare. Nessuno dei vicini sa da dove venga, quindi credo possa essere nostra. Sarà bello avere un po’ di compagnia in casa".
Mi chinai e le detti una grattatina sotto il mento. La gatta gialla fece le fusa e si stirò tutta.
"Beh, credo che il nostro reddito possa bastare a far mangiare a tutti e tre" dissi.
Mio figlio aveva preso il mio posto nella nostra attività commerciale e mia moglie ed io ci stavamo godendo una vecchiaia senza preoccupazioni. Mi piaceva però tenermi occupato, e così passavo un paio d'ore ogni giorno a tagliare e trasportare legna da utilizzare al mulino.
Uscii a mungere la mucca, e al mio ritorno Ethel dette alla gatta un po' di latte in un piattino.
Poi, dopo cena, ci sedemmo in veranda e il gatto stette con noi.
"Sei una gattina davvero carina" dissi. Lei fece delle fusa rumorose.
"Donald" disse a un tratto Ethel. Sembrava preoccupata e mi voltai a guardarla. "I vicini hanno reagito in modo piuttosto strano quando ho detto loro della gatta. Sembravano pensare che fosse un fantasma, o una strega trasformata in gatta. Mi hanno detto di sbarazzarmi di lei".
"Una strega?" dissi, ridendo di gusto. "Sei per caso una strega, gattina?".
La gatta sbadigliò e si stirò. Suo malgrado Ethel si unì alla mia risata. Aveva tutta l’aria di una ridicolaggine. Rimanemmo seduti a goderci il bellissimo tramonto, poi andammo a letto.
La gatta diventò presto, a tutti gli effetti, un membro della famiglia. Ci svegliava ogni mattina con le sua fusa, e chiedeva il latte quando ero di ritorno con la mungitura del mattino. Seguiva Ethel ovunque, facendo la supervisione del suo lavoro durante il giorno, e sedeva accanto al fuoco la sera, mentre noi leggevamo ad alta voce.
I giorni divennero più brevi con l'avvicinarsi dell’autunno, e spesso lavoravo fin quasi al tramonto, tagliando e trasportando legna. Una sera, nel mese di ottobre, finii di trasportare il mio ultimo carico solo al crepuscolo. Appena ebbi caricato l' ultimo tronco, mi misi per strada, sperando di tornare a casa prima che facesse buio dato che non avevo portato nessuna lanterna con me. Svoltai un angolo e vidi un gruppo di gatti neri in mezzo alla strada. Erano quasi invisibili nell’oscurità che si stava addensando.
Quando fui più vicino, vidi che stavano trasportando una barella. Mi fermai e mi strofinai gli occhi. Non era possibile. Quando guardai di nuovo, la barella era ancora lì, e c'era un piccolo gatto morto disteso sopra.
Ero sbalordito. Deve essere uno scherzo della poca luce, pensai. Allora uno dei gatti gridò: "Signore, per favore, dica a Zia Kan che Polly Grundy è morta".
Rimasi a bocca aperta per lo shock. Scossi la testa con forza, non credendo alle mie orecchie. E’ ridicolo, pensai, i gatti non parlano.
Superai in fretta il piccolo gruppo, avendo cura di guardare altrove. Si vede che sto lavorando troppo, pensai ancora. Ma non potevo smettere di chiedermi chi fosse Zia Kan. E perché il gatto vuole che le dica che Polly Grundy è morta? Era Polly Grundy il gatto sulla barella?
Improvvisamente, mi trovai di fronte un piccolo gatto nero. Era esattamente davanti a me. Mi fermai e lo guardai. E lui mi guardò a sua volta, con grandi occhi verdi che sembravano risplendere nella luce morente.
"Ho un messaggio per Zia Kan" disse il gatto. "Le dica che Polly Grundy è morta".
Il gatto mi aggirò furtivo e andò a unirsi agli altri gatti raggruppati intorno alla barella.
Ero completamente sconcertato. La cosa si faceva davvero inquietante. Gatti parlanti e una morta di nome Polly Grundy. E chi era Zia Kan? Mi allontanai camminando più veloce che potevo. Intorno a me, l’oscurità tra gli alberi diventava sempre più fitta. Non volevo rimanere nel bosco con un gruppo di gatti parlanti. Ma non è che credevo davvero che i gatti avessero parlato. Era tutto uno strano sogno da sveglio causato dal troppo lavoro.
Dietro di me, i gatti fecero uno strano suono acuto e gridarono tutti insieme: "Vecchio! Dite a Zia Kan che Polly Grundy è morta!".
Ne avevo abbastanza. Mi precipitai a casa più in fretta che potevo, e mi fermai solo quando fui al riparo della mia veranda. Allora feci una pausa per riprendere fiato. Non volevo spiegare a Ethel che stavo vedendo e sentendo cose impossibili. Mi avrebbe dato delle cucchiaiate di olio di ricino e avrebbe chiamato il dottore.
Quando mi fui ripreso a sufficienza, entrai in casa e cercai di agire normalmente. Ma avrei dovuto sapere che non avrebbe funzionato. Ethel e io eravamo sposati da 30 anni, e lei mi conosceva dentro e fuori. Non disse nulla finché non ebbi finito di fare tutto quello che avevo da fare, poi mi fece sedere davanti al fuoco e mi portò la cena. Dopo che ebbi mangiato un paio di bocconi e mi fui un po' rilassato, mi chiese: "Dimmi cosa è successo, Donald".
"Non voglio farti preoccupare" risposi, riluttante a parlare di tutto quello che avevo visto e sentito sulla strada di casa.
La gatta gialla era sdraiata accanto al fuoco. Alzò lo sguardo quando sentì la mia voce, e venne a sedersi vicino alla mia sedia. Le offrii un boccone di cibo, che lei accettò con grazia felina.
Mi preoccuperò di più se non mi dici niente" disse Ethel.
Penso che forse c'è qualcosa che non va nel mio cervello" dissi lentamente. "Mentre stavo tornando a casa, ho creduto di vedere un gruppo di gatti neri che trasportavano una barella con sopra un gatto morto. Poi ho creduto che i gatti mi parlassero. Mi hanno chiesto di dire a Zia Kan che Polly Grundy è morta".
La gatta gialla balzò allora sul davanzale della finestra. "Polly Grundy è morta?" gridò. "Allora sono io la Regina delle Streghe!"
Dette una frustata con la coda e la finestra si spalancò con un botto. La gatta gialla la attraversò con un salto e scomparve nella notte, per non tornare mai più.
Ethel dovette versarmi un intero secchio d'acqua in testa per farmi riavere dal mio svenimento.
"La buona notizia" mi disse quando mi misi seduto, grondante e imprecando perché l'acqua era ghiacciata, "è che non c’è niente che non va nel tuo cervello. La cattiva notizia è che la nostra gatta ci ha appena lasciato per diventare la Regina delle Streghe. Dovremo prendere un altro gatto".
"Oh no" dissi subito. "Ne ho abbastanza dei gatti".
Prendemmo un cane .


* * *

Note e crediti

La storia The black cat's message è tratta da: S.E.Schlosser, Spooky Southwest. Globe Pequot Press, 2004. Traduzione di Ivano Landi.

L'immagine di apertura del post è un particolare di un dipinto di Botero del 1994.
Clicca sull'icona a lato per  la visualizzazione intera.

Commenti

  1. A volte guardo con sospetto alle mie due gatte. Che mi nascondessero anche loro qualcosa? Bellissima fiaba ma.... ma perchè Zia Kan era gialla?

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    1. Misteri delle fiabe, caro TOM, che lasciano sempre molto di non detto. Uno potrebbe anche chiedersi, per esempio, perché i due protagonisti della storia sono all'oscuro del fatto che la gatta è in realtà una strega mentre i loro vicini di casa invece lo sanno XD

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  2. Ok, allora aspetto la seconda parte del post.
    Comunque, penso che i gatti siano esseri capaci di stimolare molto la fantasia degli scrittori, visti i loro comportamenti strambi^^

    Moz-

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    Risposte
    1. I gatti sono sempre stati abbinati al lato magico dell'esistenza, al notturno, al mistero. L'etologo Giorgio Celli li ha definiti, in modo semiserio, Buddha zoomorfi ^^
      Ho visto che con l'articolo di ieri hai scatenato un putiferio sul tuo blog, ancor più che con il famoso "E' tutta colpa i Freud". Vediamo gli sviluppi... non ho ancora guardato oggi.

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    2. Guarda, il fatto è che non è un mio articolo XD
      Quindi ero impreparato sia sull'argomento che su questa deriva... per fortuna dopodomani nuovo post e spero che si plachi tutto :p

      A, w i gatti, sempre!

      Moz-

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    3. W i gatti nonostante Bodé ne fosse allergico, ah ah!
      Attendo il nuovo post allora... la quiete dopo la tempesta XD

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  3. Oddio, io immaginavo fiabe più tradizionali, tipo Cappuccetto Rosso per capirci, però l'ipotesi dei due studiosi suona interessante.
    La fiaba con cui hai iniziato questo nuovo argomento del blog è comunque particolare, attendiamo i prossimi post per capire quali significati nascosti possano esservi celati.

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    Risposte
    1. Siamo in tanti nella blogosfera a occuparci di fiabe, Ariano. Io me ne occupo occasionalmente, altri a tempo pieno.
      Quando lo faccio cerco di dare il mio contributo il più possibile da una prospettiva insolita, ed è una bella fortuna che il mondo fiabesco offra così tante variazioni su uno stesso tema... Questa del post per esempio è una fiaba tradizionale europea ma rinarrata in uno spirito made in USA, decisamente halloweeniano.

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  4. MI è piaciuta molto l'introduzione che hai fatto al post attraverso la riflessione sui miti archetipici. Bello.

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  5. Grazie mille Marco, si fa quel che si puote... e dopotutto questo lo considero il mio campo primario di indagine. Non per niente il sottotitolo del blog prende spunto da un sistema mitologico, quello australiano nello specifico .

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